Nel 2008 Edmondo Berselli, quel gran genio del mio amico, scrisse uno dei suoi tanti libri meravigliosi. Titolo folgorante e profetico: Sinistrati. Sono trascorsi dieci anni e otto, purtroppo, dalla sua morte prematura, e l'intero assetto politico del paese è, tuttora, sinistrato.
I sinistrati siamo noi, diceva Eddy. Brutalizzati alle elezioni, battuti culturalmente, spintonati ai margini di una società cattiva. Alcuni legati a un'idea troppo razionale di riforme difficili, altri pervasi dalla nostalgia di rivoluzioni impossibili. Risultato: vinceranno sempre gli altri. Perché noi siamo fuori tempo, fuori moda, fuori gioco. E con la triste euforia degli esclusi, fra l'autolesionismo e l'autocompatimento, ci prepariamo a diventare una minoranza permanente. Ma non è colpa nostra: scienziati autorevoli hanno dimostrato che si è di sinistra per via del Dna. C'è di mezzo un dannato gene altruista. Come dire che siamo fessi per natura. Per questo il Partito democratico ha sbagliato tutte le strategie, si è illuso di vincere, si è schiantato contro Berlusconi, e dopo la batosta non ha ancora deciso se sopravvivere a una sconfitta storica o lasciarsi naufragare. Ci vorrebbe una cultura, un leader, uno schema politico. Ci vorrebbe almeno un'idea. Invece, i riformisti non hanno ancora un programma e gli estremisti non hanno più un peso. Di idee, non se ne parla più. Edmondo Berselli descriveva, con affetto, la storia e la malattia dei sinistrati italiani, e formula senza pietà la relativa diagnosi. L'Italia andava a destra, ritrovava nel partito di Berlusconi il clima confortevole di una Dc senza preti, mentre le corporazioni prosperano e la concorrenza latita. C'è una speranza per la sinistra e i sinistrati? Oppure li attende un deserto infinito, e la condanna di attraversarlo fra miraggi crudeli?
Sono passati dieci anni.
Ci vorrebbe una cultura, un leader, uno schema politico. Ci vorrebbe almeno un'idea.
Al contrario, Edmondo di idee ne aveva tante e via via tendeva non a teorizzarle ma ad esprimerle sotto forme di storie o di aneddoti, di invenzioni narrative. Questa storia delle armi del comunismo amava raccontarla spesso, come mitologia fondatrice del nostro territorio, quel gran pezzo dell'Emilia, che ha capito e raccontato meglio di chiunque altro, dove c'erano i comunisti, che sembravano eterni, e quindi si poteva vivere, e bene, senza la politica. Che tanto ci pensavano loro. In questa versione Le armi del comunismo è una stesura inedita, ampliata e variata di quel racconto, rispetto a quella pubblicata in Quel gran pezzo dell'Emilia, splendido libro del 2004.
Una storia vera, quasi vera, verosimile.
Ritrovata da Giuseppe Molinari, che ringrazio, per cui fu scritta nel 2009 in occasione di una premiazione del Premio letterario Ludovico Antonio Muratori.
Beppe Cottafavi
Copertina di Wainer Vaccari
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