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Introduzione

UN MUTAMENTO EPOCALE
di Vanni Bulgarelli e Catia Mazzeri

Le trasformazioni ambientali rinviano alle vicende politiche, economiche e sociali della città e del suo territorio, s’intrecciano con mutamenti culturali e comportamentali delle persone, evocano l’azione delle pubbliche istituzioni, delle strutture produttive e dell’organizzazione civile. Tutto ciò ha assunto a livello locale specifiche caratteristiche concorrendo, talvolta in termini decisivi, a scolpire nuovi elementi identitari e aspetti inediti del paesaggio urbano. Modena condivide, con altre città italiane ed europee, tale percorso. Tuttavia, si è distinta nel contesto nazionale, dalla metà degli anni Sessanta, per l’impegno delle amministrazioni locali, volto al miglioramento della qualità dell’ambiente, compromessa dai meccanismi del modello di sviluppo economico dominante, sperimentando politiche pubbliche proprie della prassi riformista.

Aspetti dell’economia nella prima metà del secolo
Viale StorchiAgli inizi del Novecento il quadro demografico presenta alcuni caratteri sostanzialmente stabili per tutta la prima metà del secolo. La maggioranza degli abitanti risiede nei centri minori e nelle aree rurali. Il rapporto tra residenti in provincia e nel capoluogo è circa di 5 a 1. Si manterrà su questi valori per metà secolo, ad indicare un modesto indice di inurbamento. I diversi territori della provincia rappresentano riferimenti stabili di un sistema insediativo policentrico ancora oggi solido.
 
Nel 1901 i residenti sono 336.875 di cui 63.012 nel capoluogo. Nel 1936 salgono rispettivamente a 467.355 e a 96.337. Nel Ventennio fascista c’è un rallentamento della crescita e, verso la fine del secondo conflitto mondiale, si accentua il flusso verso i centri maggiori a partire dal capoluogo, anche per effetto della cresciuta consistenza delle unità locali industriali. Il ciclo idrico interessa tutte le attività economiche. Con l’industrializzazione aumenta la domanda di acqua, come forza motrice e componente dei processi produttivi. Nel 1895 dei 494 mulini attivi censiti ben 488 utilizzavano ancora esclusivamente la forza idraulica. Dei complessivi 6.402 “cavalli dinamici” impiegati nelle attività manifatturiere della provincia 5.717 erano forniti dall’acqua e i restanti dalle 37 caldaie a vapore.

Il censimento del 1911 evidenzia il ritardo dello sviluppo industriale che caratterizza la provincia. Nelle 2.561 imprese attive lavorano 17.543 persone. Si tratta di piccoli o piccolissimi laboratori artigianali, che nell’82% dei casi non superano i cinque addetti. La metà del complesso degli attivi opera nel settore agroalimentare, 2.796 unità nell’edilizia e 1.588 nel tessile. Le poche industrie sono legate all’attività di trasformazione dei prodotti agricoli e producono concimi, caldaie, le prime macchine agricole e materiale ferroviario. Dalla seconda metà degli anni Trenta è più sensibile l’incremento della produzione industriale.

Primi approcci alla questione ambientale urbana
Officine RizziAlla fine degli anni Trenta i principali problemi ambientali sono determinati dalla ancora limitata industria ceramica (Sassuolo), dalle cartiere (S. Cesario- Castelfranco), dalla SIPE (Spilamberto), dalle lavorazioni delle carni (in vari centri della provincia) e nel capoluogo soprattutto dalle fonderie, dal gasometro e dalla nuova centrale termoelettrica. In città alle esalazioni, ai rumori e all’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee dovuto al complesso delle attività presenti (allevamenti animali, mercato bestiame, macello, oleifici, etc.) si aggiungono le pessime condizioni dei canali trasformati in fogne e l’assenza dell’acquedotto. L’agricoltura ricorre in misura crescente alla chimica, ma ancora con impatti limitati. Altro problema cruciale è la difesa della città e delle zone rurali dalle alluvioni che porta a diversi interventi di bonifica e regimazione dei fiumi.

Sviluppo GoogleEarthIl “boom economico” e la crescita senza limiti
Le drammatiche condizioni socio-economiche della fine della Seconda Guerra mondiale vengono affrontate a Modena, come in altre parti del Paese con straordinario slancio vitale. Tra il 1951 e il 1971 la popolazione residente nella provincia passa da 498.146 abitanti a 556.852 e nell’area del capoluogo cresce del 30%; il comprensorio montano perde 34.000 abitanti e quello di Sassuolo aumenta di oltre 35.000 unità, l’89,3% in più. Le abitazioni nello stesso periodo aumentano di 65.000 unità: da 111.788 a 175.796. Ancora più eclatante il dato dei veicoli che nel 1951 erano 11.602 con 4.080 vetture e venti anni dopo sono saliti a 175.875 di cui 145.855 auto. Tra il 1955 e il 1972 vengono soppressi 123 Km di linee ferroviarie provinciali, che si aggiungono ai 69 dismessi negli anni Trenta e Quaranta. Quasi l’intera rete ferroviaria è smantellata e sostituita da autobus a gasolio, più “moderni e flessibili”. Nel 1979 la Provincia di Modena è la prima in Italia per reddito pro-capite, che supera del 42% la media nazionale.

La questione ambientale si impone
Sono soprattutto gli allevamenti: zootecnici per il 30,6%, suinicoli per il 18,4% e avicunicoli per il 10,2% a determinare ad un tempo elevato valore aggiunto nei processi di trasformazione e impatti significativi soprattutto a carico delle risorse idriche.  Nel 1970 alcuni medici riscontrano anomalie nel quadro sanitario di bambini e adulti di Sassuolo. Una puntuale campagna di analisi delle autorità sanitarie rileva elevate concentrazioni di piombo nel sangue dei lavoratori delle ceramiche. Il quadro drammatico è denunciato dagli enti locali, dalle organizzazioni sindacali e dalle prime associazioni ambientaliste. L’onorevole Alcide Vecchi, Sindaco di Sassuolo, si distingue per tempestività, incisività e determinazione nell’affrontare i termini complessi del problema. Alle forti pressioni urbanistiche del “boom economico” aveva risposto il capoluogo, con una innovativa pianificazione urbanistica, che nel supportare la crescita interveniva per regolarla più saldamente, affermando il primato dell’interesse pubblico, sociale e ambientale, sulla rendita fondiaria urbana.

Si affermano le politiche pubbliche per l’ambiente
Parco AmendolaTra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, si definisce, poi si attua concretamente, una vasta azione pubblica volta ad un tempo alla riparazione, al recupero e alla prevenzione. Nel 1983 la Relazione sullo Stato dell’Ambiente nella Provincia, la prima in Italia, rileva la situazione degli ecosistemi sottoposti in poco più di venti anni a pressioni sconosciute nei secoli precedenti. La città di Modena svolge in quegli anni un indiscusso ruolo centrale, riferimento per tutto il sistema. È così nella depurazione delle acque, nelle politiche energetiche e dei rifiuti. L’attività competente delle aziende AMCM e AMIU poi unificate in META, si traduce indirettamente in un vantaggio per il territorio che può contare su servizi qualificati a costi contenuti. Le politiche di pianificazione territoriale e le infrastrutture ambientali hanno introdotto nelle dinamiche dello sviluppo locale, regole e strumenti idonei a rispettarle da parte di cittadini e imprese, evitando o limitando il ricorso a forme di competizione economica dannose per l’ambiente. Questo ha consentito al “sistema Modena” di confrontarsi meglio con il quadro normativo europeo e con la sfida della qualità.

Tempi ecologici, tempi economici, tempi politici
Dalle ricerche emerge che i sistemi territoriali e ambientali modenesi hanno retto abbastanza bene, per una lunga fase, le pressioni dello sviluppo antropico. La loro contenuta intensità ha consentito, nei secoli, il parziale riassorbimento degli urti e l’adattamento degli ecosistemi, trasformati nei nuovi paesaggi, mantenendo dominante, con quella rurale, la dimensione naturale percepita. La stratificazione di quei cambiamenti e i resti che la documentano sono stati via via inclusi da nuove strutture insediative e produttive, poi più spesso del tutto annullati. Sono tuttavia in parte ancora leggibili le loro caratteristiche essenziali, che costituiscono l’impronta storica di una straordinaria evoluzione. Nella seconda metà del Novecento, l’accelerazione senza precedenti delle dinamiche socioeconomiche producono, in mezzo secolo, una vera e propria rottura degli equilibri ambientali, fino a quel momento presenti. L’azione delle forze sociali e politiche, attraverso le loro rappresentanze istituzionali, ha cercato di riparare e di prevenire ulteriori danni, ma i meccanismi dello sviluppo alla fine del Novecento non erano ancora divenuti sostenibili.

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