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La biodiversità

BIODIVERSITA' A MODENA E DINTORNI NEL XX SECOLO
a cura di Bernardo Fratello

Biodiversità tra tutela e cambiamento
di Mauro Ferri, Bernardo Fratello e Claudio Santini

Per “biodiversità” s'intende la variabilità osservabile in tutte le sue forme tra gli organismi viventi e tra gli ecosistemi. Interpretare le variazioni di biodiversità sulla base degli effetti delle manipolazioni qualitative e quantitative del territorio e delle conseguenti ricadute ambientali negli ultimi cento anni rappresenta un tentativo di prevenire la ripetizione degli errori già commessi in passato. Per quanto riguarda l’esame delle modificazioni della naturalità nel corso dell’ultimo secolo nell’area considerata, ben contribuiscono le ricerche svolte per questo Annale sullo stato della flora e della fauna vertebrata, mentre purtroppo è da evidenziare l’impossibilità di offrire in questo contesto analoghe considerazioni circa lo stato della fauna invertebrata, considerato come tracciare oggi un quadro, anche parziale e non del tutto aggiornato, della fauna invertebrata provinciale richieda necessariamente uno specifico lavoro.

 

La flora del territorio modenese, alla luce delle trasformazioni urbane e agrarie del Novecento
di Claudio Santini, Daniele Dallai, Matteo Gualmini, Elisabetta Sgarbi, con il contributo di Filiberto Fiandri, Luciano Delfini e Umberto Lodesani

piantataIl territorio della pianura modenese alla fine del secolo diciannovesimo, a giudicare anche dai documenti cartografici dell’epoca, presentava ancora una grande varietà di ambienti, quali zone umide, boschi planiziali, corsi d’acqua non completamente regimati o ad andamento meandriforme.
L’assetto floristico descritto dai botanici di fine Ottocento sembra definitivamente scomparso, così come gli ambienti citati nei loro scritti, di cui non rimangono che tracce in zone del territorio molto localizzate e in alcuni riferimenti toponomastici. Le bonifiche, iniziate in epoca romana e terminate nei primi anni del secolo scorso, hanno determinato una grande artificiosità nell’ambiente; delle antiche foreste e paludi che la ricoprivano non sono rimasti che i riferimenti toponomastici. La differenza più eclatante, infatti, tra il territorio modenese fino alla prima metà del Novecento e i nostri giorni, risiede nella qualità e nella ricchezza d’acqua che caratterizzavano un tempo Modena e i suoi dintorni.

albaretoIl paesaggio rurale, modificato da secoli di lavoro agricolo, si caratterizzava fino a pochi decenni fa per le sue piantate a olmi con vite maritata. La piantata, era giunta a noi quasi intatta fino alla metà degli anni sessanta del secolo scorso, pur con numerose variazioni locali.
Se la semplificazione del territorio modenese è riconducibile fino agli anni Cinquanta quasi esclusivamente all’ammodernamento del comparto agricolo, negli ultimi decenni una delle cause della diminuzione di ambienti naturali è da imputare anche alla forte espansione urbana. Alla perdita di superficie disponibile vanno poi aggiunte altre problematiche come l’abbassamento delle falde acquifere e il peggioramento della qualità delle acque, che hanno contribuito anch’esse a rendere difficile la sopravvivenza delle specie più specializzate, come le idrofite.
Nel territorio comunale è però possibile individuare ancora almeno due zone che mantengono una loro identità, sia sotto il profilo colturale che floristico: i prati detti Tagliati di Albareto e i prati di S. Clemente. I primi, di origine ottocentesca, sono gli unici a conservare specie floristiche rare e mostrano un’alta biodiversità floristica (oltre 90 specie erbacee rilevate) e zoologica (alta quantità di microfauna terricola trasformatrice di humus).

sclementeI cambiamenti della flora locale, avvenuti dalla seconda metà del '900, non riguardano solamente perdite, ma anche ingressi di specie avventizie provenienti in particolare dal Nord America, in seguito al mutare dell’agronomia ed all’uso sempre più esclusivo di sementi selezionate provenienti da altre aree del globo. Altresì sono scomparse le specie un tempo più frequenti nelle messi.

Un quadro complessivo, ma dettagliato della flora del territorio comunale si può ricavare dalle ricerche floristiche condotte negli ultimi 100 anni. Nello studio sulla vegetazione dei fontanazzi modenesi, ultima fotografia di questo straordinario ambiente umido, Bertolani Marchetti evidenzia in particolare i due aspetti che rendevano uniche tali stazioni: il microclima fresco e umido ben differenziato dal clima della pianura e la scarsa influenza dell’uomo sui terreni limitrofi, scarsamente coltivabili. Solo vent’anni dopo la stessa Autrice nella “Relazione sullo stato dell’ambiente nella Provincia di Modena” del 1983 decretava la fine dei fontanazzi di S. Faustino e Cognento a causa dell’estendersi dell’abitato e della mancanza di rispetto per questi lembi di territorio.  I rimboschimenti attuati in aree di pianura, pur contenendo nello strato erbaceo elementi ascrivibili alle associazioni prative, lasciano intravedere a medio termine (20-25 anni), un rapido evolversi verso situazioni pseudonaturali, con un incremento anche di specie nemorali o rare. Una minore pressione antropica su aree marginali, la ricrescita delle siepi, i sempre più diffusi rimboschimenti di pianura e la ricostituzione di zone umide costituiscono, infatti, un’importante occasione per un ritorno almeno parziale della naturalità perduta.

vallimirandolesiIniziative di tutela della biodiversità nel territorio europeo hanno dato il via nella Regione Emilia Romagna alla realizzazione della rete ecologica Natura 2000 per l’individuazione e la tutela di ambienti, specie vegetali e animali particolarmente rari. Nella Provincia di Modena sono state individuate 13 Aree SIC (Siti di Importanza Comunitaria) tra le quali 6 riguardano prevalentemente e/o esclusivamente ambienti umidi. Partendo da questi importanti interventi di salvaguardia di habitat e specie ad essi collegate non si può comunque desistere dall’impegno per rendere più efficace la tutela degli ambienti caratteristici del nostro territorio.

 

La fauna della zona di Modena e pianura circostante nel corso del Novecento
di Luigi Sala

Le conoscenze relative alla fauna presente nel corso del Novecento si riferiscono soprattutto all’ultimo trentennio del secolo e derivano in parte da indagini eseguite, a scala provinciale o locale, su vari taxa di vertebrati o singole specie, oppure in parte su aree di particolare rilevanza territoriale.
Tutte le informazioni sono archiviate nella Banca dati faunistica provinciale allestita nel 2002 presso il Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Modena. Tale banca dati, che include oltre 7.000 segnalazioni storiche e recenti relative a 435 specie di vertebrati in più di 800 località in ambito provinciale (tutte georeferenziate in ambiente GIS), costituisce oggi il principale supporto informativo riguardante la diversità faunistica del territorio modenese.
caprioliLa fauna vertebrata. A inizio secolo, fra le specie indigene originarie, i grandi mammiferi, quali il cinghiale, il capriolo, il cervo e il lupo, erano estinti nella zona ormai da secoli a causa della caccia e della loro incompatibilità con un uso del territorio prevalentemente agricolo e zootecnico. Da oltre mezzo secolo, non erano inoltre più segnalati, se non del tutto occasionalmente, anche altri mammiferi, quali lo scoiattolo, la volpe e il tasso, ancora più o meno diffusi nella fascia collinare e appenninica ma che difficilmente riuscivano ad inserirsi in contesti territoriali dove l’insediamento umano e lo sfruttamento agricolo erano così capillari come in gran parte della campagna modenese dell’Ottocento e della prima metà del Novecento. La presenza di animali selvatici estranei alla fauna locale era limitata alle quattro specie comparse nella zona già da più o meno lungo tempo (la carpa, il topo domestico e due specie di ratti) mentre una sola, il carassio, risultava introdotta più recentemente nel corso del XIX secolo.
Nonostante la scarsa documentazione, si può verosimilmente ritenere che, per i taxa di Vertebrati considerati, l’assetto descritto per la fine dell’Ottocento si sia sostanzialmente mantenuto anche nei primi decenni del secolo. Il quadro complessivo è poi mutato repentinamente seguendo a breve il grande sviluppo urbano e industriale e della conduzione agricola degli anni Cinquanta e Sessanta, tanto da risultare radicalmente stravolto nei primi anni 2000.
gecoI principali cambiamenti sono riconducibili da un lato all’incremento del tasso di estinzione e del grado di minaccia e di vulnerabilità delle popolazioni indigene e, dall’altro, all’ingresso di numerose specie alloctone di provenienza disparata. Delle 53 specie indigene presenti all’inizio del secolo, infatti, nel giro di pochi decenni se ne sono estinte circa 1/5 e quelle minacciate o molto vulnerabili sono oggi addirittura la metà del totale mentre solo 1/3 non sono da considerare a rischio.
E' interessante notare che tutte le estinzioni, lontra esclusa, avvenute nei secoli precedenti riguardano specie terrestri mentre quasi tutte quelle del XX secolo sono invece legate ad habitat acquatici e ciò costituisce un’ulteriore conferma di quanto pesantemente gli ambienti acquatici abbiano subito la pressione dei fattori di degrado più attivi negli ultimi decenni del secolo (eliminazione fisica di biotopi quali fontanili e canali, inquinamento e diminuzione delle risorse idriche superficiali, gestione ittica a fini di pesca sportiva, introduzione di specie esotiche ecc.).

panzaroloIn controtendenza nel panorama di generalizzato declino della fauna indigena, negli ultimi vent’anni si registra il reinsediamento di specie estintesi nella zona da più o meno lungo tempo, quali la volpe, il capriolo e, in misura decisamente più circoscritta, lo scoiattolo e il tasso. Questo fenomeno è da mettere in relazione a due fattori concomitanti: da un lato l’incremento numerico e la tendenza espansiva delle loro popolazioni appenniniche e collinari di queste specie e, dall’altro, l’aumento nella fascia di media pianura di superfici marginali incolte, e in parte rimboschite. Recentemente sono inoltre comparsi l’istrice e il geco comune, originariamente non segnalati nella zona; la prima immigrata spontaneamente da altre regioni italiane, la seconda anche in seguito ad introduzioni accidentali e ambedue, essendo tipiche del bioclima mediterraneo, favorite dal clima sempre più mite degli ultimi anni.

testuggineAnticipando la tendenza al declino della fauna autoctona, già dall’inizio del secolo si è osservato un incremento nell’ingresso di nuove specie esotiche. Tale tendenza subisce un’impennata nel secondo dopoguerra quando il tasso d’incremento triplica rispetto al lustro precedente concentrandosi particolarmente nell’ultimo ventennio. Raggiungendo le specie esotiche oggi addirittura il 28% del totale, risulta evidente quanto l’integrità faunistica sia ormai profondamente compromessa.

 

Gli Uccelli nel Modenese
di Carlo Giannella e Umberto Lodesani

La presenza dell’avifauna è spesso condizionata da fattori direttamente attribuibili alla presenza umana quali: perdita e frammentazione di habitat, inquinamento, disturbo antropico diretto ed indiretto, impatto provocato dalla presenza di infrastrutture, cattura e commercio di specie, introduzione di specie esotiche.
Gli uccelli si prestano molto bene per essere utilizzati quali indicatori ambientali in quanto rispondono in tempi brevissimi alle minime variazioni dell’ecosistema, sono in grado di abbandonare rapidamente ambienti apparentemente idonei e di occuparne immediatamente di nuovi. Inoltre, sono animali ben visibili e facilmente censibili.
Il periodo 1900-1950 è caratterizzato da una progressiva riduzione sia nel numero di specie, che di effettivi. Nel 1939, una legge sulla caccia, primo passo per regolamentare la materia, ammetteva però l’abbattimento di quasi ogni specie e introduceva il concetto di nocivo (limitato ai Rapaci diurni ed al Gufo reale), di cui si autorizzava l’abbattimento, con ogni mezzo ed in ogni stagione. A questo quadro sono da aggiungere l’inizio del periodo di forte inurbamento, particolarmente nel periodo post-bellico e la diffusa povertà, che portava le popolazioni rurali ad un bracconaggio efferato. Le conseguenze furono un primo crollo dell’entità delle popolazioni e del numero di specie di uccelli presenti in provincia di circa il 20% in meno rispetto alla situazione di fine Ottocento.
Nel periodo 1950-1970, nonostante la scarsità di fonti documentali, si registra una pur timida inversione nell’erosione della biodiversità rispetto a quella di fine XIX secolo.
Nell'ultimo periodo 1970-2000 emerge un alto numero di specie non-Passeriformi segnalate,  dovuto alla presenza di estesi bacini artificiali recentemente realizzati, quali quelli derivanti dalle opere idrauliche realizzate per ridurre il rischio di piena sui fiumi Panaro e Secchia e sul Canale San Giovanni, o dai ripristini ambientali quali quelli del Torrazzuolo (Nonantola). Un risultato positivo raggiunto anche grazie alla tutela ed al continuo monitoraggio di questi nuovi ambienti, dimostratisi ottimi bacini di biodiversità. Al contrario, alcune specie legate ad ambienti ecotonali, quali quelli della campagna con la pratica della “piantata”, come il Torcicollo, l’Averla piccola e l’Averla capirossa, hanno subito effetti nefasti dalla sostituzione delle matricine arboree con pali in cemento.
In questo stesso periodo, nel mondo venatorio più evoluto cresce la consapevolezza di come la tutela del capitale venatorio, in passato drasticamente ridottosi, sia un concetto fondamentale di gestione. In questo periodo, infatti, presero sempre più forza i tentativi di reintroduzione delle specie di alta valenza cinegetica e naturalistica.
Anche da un punto di vista ambientale, la campagna non è più sfruttata come in passato. Nascono i primi set-aside, vengono ricostituite, attraverso il reimpianto, chilometri e chilometri di siepi di essenze autoctone. Si afferma e consolida la pratica urbanistica della “città giardino”, con il calamitare in centro urbano di migliaia e migliaia di uccelli, grazie a ricreate pseudo-naturalità ambientali.
In definitiva, si assiste, in questa ultima parte del secolo, ad un cambio di trend nell’erosione della biodiversità, con valori che superano quelli di fine ‘800.

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