Le acque

LE RISORSE IDRICHE
di Adriano Zavatti con la collaborazione di Brenno Pinotti

 

La realtà ambientale e territoriale modenese, soprattutto per quanto attiene il ciclo dell’acqua, presenta una notevole complessità per la stretta connessione tra fattori antropici di pressione diretta e cause, indirette o derivate, di decadimento quali-quantitativo della risorsa. Infatti, i fenomeni complessi, in una realtà ambientale e territoriale di dimensioni limitate, talora impediscono di catalogare rigidamente fattori di pressione e impatti, distinguendoli dalle condizioni di stato. L’urbanizzazione, la modifica degli stili di vita e dei consumi, lo sviluppo produttivo, l’uso dell’acqua e la sua restituzione ai corpi idrici superficiali e, indirettamente, a quelli sotterranei, le modifiche del paesaggio naturale e l’estrazione di materiale lapideo dagli alvei fluviali o extra-alveo, lo smaltimento dei rifiuti, la mobilità, le emissioni in atmosfera e le ricadute al suolo di loro componenti ecc., costituiscono altrettanti paragrafi di un racconto molto ampio ed articolato del divenire dell’ambiente e del territorio.

Naviglio1900-1950: dal passato remoto alla soglia del cambiamento
Per la prima metà del secolo scorso, una valutazione dello stato quali-quantitativo delle acque e dei fattori di pressione è certamente ardua. L’assenza di una forte industrializzazione, un’agricoltura specializzata e intensiva, ma con ridotto impiego di prodotti chimici, la limitata urbanizzazione fanno presumere il mantenimento di uno stato di “artificialità naturale”, maturato nel lungo percorso di antropizzazione dell’area. Con il nuovo secolo si intensificano gli interventi di bonifica e regimazione delle acque superficiali.

Almeno fino alla metà del Novecento, le portate del reticolo idrografico minore erano regolate prevalentemente dalle risorgenze della falda, saliente in tutta la pianura nella linea delle risorgive, a sud della città. Vi erano poi le derivazioni irrigue stagionali dai fiumi, tra cui ricordiamo il Canale San Pietro dal Panaro ed il Canale Maestro o di Modena dal Secchia, la cui escavazione è da collocarsi tra il tardo Medioevo e l’età rinascimentale. D’altra parte, dalla regolazione idraulica del territorio operata nei secoli, è evidente la volontà di convogliare il maggior volume di acqua possibile nel canale Naviglio, rendendolo, per quanto possibile sempre navigabile. Mancando, fino alla fine degli anni Trenta, una rete acquedottistica cittadina, gli apporti antropici alla rete fognaria, a cui erano stati ricondotti gli antichi canali, erano limitati. In tal modo, la stessa qualità delle acque risultanti a valle della città non doveva essere molto scadente, se è vero che alcune foto d’epoca ritraggono lavandaie all’opera sulla Darsena del Naviglio.

PiscinaPer quanto riguarda le acque sotterranee del territorio a Sud di Modena, le analisi chimiche dei pozzi di poche decine di metri di profondità, eseguite per la Relazione sul rifornimento idrico potabile della Città di Modena di Icilio Bocchia, indicano la totale assenza di composti azotati (Ammoniaca, Nitriti e Nitrati, a vario titolo indici di contaminazione).

Il tumultuoso sviluppo e la crisi ambientale
Nei vent’anni che seguono il secondo dopoguerra si ha il massimo sviluppo economico, urbanistico e insediativo della Provincia di Modena, sia nel capoluogo, sia negli altri centri, con l’incremento esponenziale delle attività industriali ed artigianali. La struttura produttiva dell’agricoltura si trasforma e il patrimonio zootecnico a gestione industriale assume proporzioni enormi, non più collegato al ciclo agrario.

La totale assenza di un quadro normativo di tutela ambientale, almeno fino ai primi anni Settanta, e la scarsa o nulla conoscenza dei processi ambientali da parte degli enti pubblici e dei cittadini, consentirono l’incremento incontrollato degli apporti inquinanti dalle varie fonti. Il gran numero di attività produttive artigianali ed industriali di nuovo insediamento, impiegavano enormi quantità d’acqua, facilmente estraibili dal sottosuolo. L’incremento senza alcun controllo della domanda idrica, indusse alla perforazione di migliaia di pozzi, a profondità sempre maggiori (mediamente fino ai 100-150 m), spesso senza alcun rispetto per le normative vigenti, con prelievi di diverse decine di milioni di metri cubi di acqua per usi produttivi (industria, agricoltura, zootecnia). Gli affollati e numerosi allevamenti zootecnici industriali venivano lavati allontanando le deiezioni suine con scarico diretto nei corsi d’acqua. La stessa agricoltura, con l’utilizzo di concimi chimici ed antiparassitari, produsse un eccezionale incremento delle quantità di inquinanti ed un contemporaneo peggioramento della qualità delle acque, non mitigato da alcun tipo di trattamento depurativo.

PianiI rifiuti ceramici, prodotti nel comprensorio interprovinciale modenese e reggiano della ceramica, sia inerti, sia residui di smalti ed impasti vari, ricchi di sali di metalli pesanti, venivano smaltiti direttamente in cave abbandonate o venivano usati per realizzare sottofondi di nuovi insediamenti, soprattutto nelle stesse aree degli stabilimenti ceramici. L’incremento generalizzato e incontrollato della domanda idrica indusse alla perforazione di migliaia di pozzi, con prelievi di diverse decine di milioni di metri cubi di acqua, amplificando il fenomeno della subsidenza del suolo. L'abbassamento della superficie piezometrica determinò uno spessore insaturo d’acqua nel primo sottosuolo fino a 10 metri, permettendo l’infiltrazione di elementi inquinanti, dilavati dalle periodiche escursioni della falda. Parallelamente, gli scavi in alveo per la produzione di inerti, per l'edilizia e le infrastrutture ha determinato l'abbassamento dell'alveo dei fiumi ed una inversione dei rapporti idrogeologici tra fiumi e falde, con quest’ultime drenanti verso i fiumi stessi; condizione questa che favorisce la lisciviazione degli inquinanti contenuti nel suolo insaturo verso i corsi d'acqua.
Di notevole importanza, al fine di una valutazione dell’intero ciclo naturale dell’acqua a Modena, è la ricostruzione dell’andamento dei profili degli alvei fluviali dagli anni Cinquanta, dato l’innescarsi di intensi fenomeni erosivi a seguito del prelievo di alcuni milioni di metri cubi di ghiaia direttamente dagli alvei dei fiumi, per la costruzione della A1, per le necessità della ricostruzione postbellica e della successiva espansione urbana. Il conseguente dissesto ha avuto una importanza determinante nelle gravi alluvioni succedutesi in questo periodo e per i primi anni Settanta, tra Modena, Campogalliano e nella Bassa Modenese.

Gli anni della consapevolezza e del cambiamento
Dai primi anni Settanta, fino alla prima parte degli anni Ottanta, l’attività produttiva era spinta al massimo delle sue potenzialità, con una attenzione prioritaria alla massimizzazione delle rese produttive e scarsa sensibilità ai problemi ambientali. Successivamente, la progressiva attenzione delle imprese alla qualità nelle produzioni, all’ambiente di lavoro, ai possibili impatti sull’ecosistema, in ottemperanza alle nuove leggi e grazie alla decisa azione degli enti locali, dimostrò concretamente la possibilità ed anzi i positivi ritorni, anche produttivi, della coniugazione economia-ecologia.

NitratiSe per il settore ceramico, per tutti gli anni Settanta, vi è stato un prelievo idrico dal sottosuolo molto ingente, l’imposizione di impianti di trattamento e riciclo ha orientato al recupero totale delle acque e dei fanghi ed ora il settore ha un impatto sul bilancio idrico sotterraneo assai meno rilevante. Per il settore dell’allevamento zootecnico, e suinicolo in particolare, la riduzione dei volumi idrici utilizzati, lo stoccaggio e il riutilizzo agronomico dei liquami, l’avvio di una vasta azione di promozione dell’uso razionale delle deiezioni, associato ad un forte risparmio d’acqua, ha ridotto progressivamente la pressione del settore.

L’agricoltura si andò specializzando e sempre più industrializzando, con l’uso di concimi chimici, antiparassitari, fungicidi, erbicidi etc., connotandosi in tal modo come attività a forte impatto ambientale sull’intera biosfera locale, oltre che, probabilmente, come fattore favorente il degrado qualitativo del suolo. Gli insediamenti abitativi, dopo la forte espansione edilizia degli anni Sessanta e Settanta, si andarono estendendo ulteriormente, con una edilizia meno intensiva, che occupava superfici sempre maggiori. Ciò ha comportato la impermeabilizzazione crescente delle aree agricole. Questi due fattori hanno creato difficoltà nella officiosità delle reti di smaltimento delle acque reflue.
Per tutti gli anni Ottanta e Novanta la qualità delle acque superficiali è migliorata, fino a stabilizzarsi, anche se talora con deboli segnali di regresso, con un fisiologico progressivo scadimento della qualità nei fiumi dalla parte montana alla chiusura di bacino.

In ogni caso, la prima e forse più significativa delle risposte delle Amministrazioni Locali fu la politica avviata dai primi anni Settanta, con la organizzazione di strutture tecniche proprie, sulle quali poter fare affidamento nel monitoraggio ambientale e nel controllo dei fattori di pressione, a supporto di nuovi strumenti di pianificazione e decisionali in un campo del tutto inesplorato e su cui gli stessi riferimenti scientifici, a livello nazionale, erano assai carenti.

Oltre all’attività tecnica del Servizio Anti-Inquinamento del Comune di Modena, successivamente di Igiene Ambientale, attivato nel 1973, e del Centro Anti-Inquinamento della Provincia istituito nel 1971, nella seconda metà degli anni Settanta vennero elaborati importanti strumenti di pianificazione come il “Piano attività estrattive”, il “Piano degli allevamenti suinicoli”, il “Piano per la Tutela e l’Uso delle Risorse Idriche (PTURI)”, ed altri ancora. Si ricordino, a tale proposito, le conferenze economiche comunali della città, nelle quali il fattore ambiente fu riconosciuto tra i determinanti dei processi evolutivi, spesso superando i ristretti confini comunali e comprensoriali, come la realtà ambientale, che si andava delineando, imponeva, assumendo una visione di area vasta.

FogneAl Piano per la Tutela e l’Uso delle Risorse Idriche completato nel 1980 diedero, a vario titolo, il loro apporto esperti universitari e una serie di altri enti pubblici e privati, che consentirono di acquisire ed elaborare una consistente mole di informazioni sull’intero ciclo dell’acqua. Vennero così definite le linee generali di progettazione del risanamento idrico del territorio, di gestione delle risorse idriche e di indirizzo delle norme, costituendo le prime banche dati su cui poi le amministrazioni avrebbero sviluppato i sistemi informativi ambientali e tutte le successive politiche di settore ed intersettoriali. I progetti definiti nel PTURI sono stati realizzati nel corso di oltre un ventennio ed in parte lo sono tuttora. Tra gli specifici interventi operativi di ampio respiro e fortemente innovativi, realizzati tra gli anni Ottanta e Novanta, per migliorare la qualità dell’acqua nel territorio modenese, è da ricordare la creazione, in convenzione con FIAT, di un Centro di raccolta, trattamento e smaltimento di rifiuti industriali a Modena, a servizio non solo del Comune, ma di tutta la Provincia. Sempre in convenzione con FIAT furono costruite, nello stesso periodo, le prime vasche di raccolta per rifiuti tossici, successivamente utilizzate come stoccaggio: due ottimi esempi di collaborazione tra pubblico e privato.

Da ricordare, infine, l’istituzione, presso il Presidio Multizonale di Prevenzione dell’USL di Modena (poi ARPA) di una Unità Operativa del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche del Consiglio Nazionale delle Ricerche (GNDCI-CNR). L’unità ha operato dal 1987 al 2004 con un gruppo di lavoro composto da esperti dell’Università, di tutti gli enti territoriali e di aziende pubbliche, per la redazione di Carte di Vulnerabilità degli Acquiferi, per l’area modenese e per tutta l’Emilia-Romagna, mettendo a punto metodologie inserite nel Dlgs 152/9956. Le carte divennero, primo esempio in Italia, parte integrante del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale.

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Scheda di approfondimento
Bernardino Ramazzini, precursore dell'idrogeologia moderna nel Modenese
(a cura di Adriano Zavatti - testo di: Giovanni Barrocu, Università di Cagliari)
Ramazzini