Virginia, si legge nella scheda biografica a cura dell’associazione Reiter, nacque a Modena da padre tedesco, che aveva sposato una modenese e raccorciato il cognome Von-Reiter nel semplice Reiter. Virginia palesò presto la passione per il palcoscenico: educanda presso le suore “Figlie di Gesù”, interpretò a nove anni la parte di un’ottantenne governante, e si assicurò calorosi applausi. Abbandonato il teatrino delle suore, ottenne, con fatica, dalla madre di iscriversi alla locale filodrammatica “Cuore ed Arte”.
A 15 anni fu scritturata nella Compagnia di Giovanni Emanuel ed ebbe la prima rivelazione delle sue immense capacità, interpretando Berangére nella “Odette” di Sardou: correva l’anno 1883. La Compagnia di Emanuel dal 1886 raccolse in Italia e all’estero i più lusinghieri successi con la triade: Ermete Zacconi, Virginia Marini e Virginia Reiter. L’attrice modenese, che aveva già dato una straordinaria interpretazione di Desdemona dell’ “Otello” a Montevideo (1887), poco tempo dopo, sempre in America, nella veste della “signora delle Camelie” procurò alla Compagnia lo sbalorditivo incasso di 2.800 scudi in una sola serata. Enorme fu pure il suo successo in Spagna, se si guadagnò gli elogi dei migliori letterati spagnoli. Nel 1894 ella si staccò da Emanuel e nei tre anni successivi operò nella compagnia di Flavio Andò, ammirata sempre per la sottile intelligenza, la passionalità drammatica, il vigoroso e armonioso equilibrio. Trascorse poi un altro glorioso triennio con Claudio Leigheb, continuando a suscitare stupore e lodi negli spettatori. “Capocomica dal 1902 al 1915, fu socia di F. Pasta e, in seguito, di L. Carini. Lasciò il teatro a quarantotto anni; vi ritornò nel 1920 per un giro di pochi mesi” (E. Palmieri).
Artista di profonda serietà professionale, dal portamento signorile e dallo sguardo suggestivo, la Reiter si segnalò tra le maggiori attrici della sua epoca per l’indole duttile e varia, che le consentiva di affrontare ruoli del repertorio classico e contemporaneo; fu, in special modo, “eccellente nell’esprimere un realismo sensato e ironico, un sentimentalismo doloroso ma morbido” (E. Palmieri).
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