31/10/2012

DAI CECCHINI AI LAMPONI, LE GUERRE BALCANICHE 20 ANNI DOPO

Da venerdì 2 novembre si può visitare in Municipio l'esposizione “Balcani, vent'anni dopo. 1991-2011”, l'ex Jugoslavia in 25 scatti del fotografo Livio Senigalliesi

Le macerie della biblioteca di Sarajevo distrutta dalle fiamme, gli incroci della capitale bosniaca battuti dai cecchini, la fine dell'assedio dopo gli accordi di Dayton, ma anche il primo tuffo dal ponte di Mostar ricostruito, e le operaie nella cooperativa agricola di Bratunac, dove donne serbe e bosniache, dopo anni di conflitto, raccolgono di nuovo i lamponi lavorando fianco a fianco dopo anni di conflitto. Sono alcune delle 25 storie raccolte dal fotografo Livio Senigalliesi, in altrettante immagini che da venerdì 2 novembre sono in mostra nella Sala dei Passi perduti del Municipio in piazza Grande. L'esposizione, prodotta dall'Osservatorio Balcani e Caucaso assieme all'associazione Ambasciata della democrazia locale a Zavidović, si intitola “Balcani, vent'anni dopo. 1991-2011” e si potrà visitare gratuitamente fino a lunedì 12 novembre (dalle 9 alle 19 dal lunedì al sabato, dalle 9,30 alle 12,30 la domenica).

Lunedì 5 novembre alle 20 la sala di Rappresentanza del Municipio ospiterà inoltre la proiezione del video-reportage “La strada del ritorno”, alla presenza del giornalista Andrea Rossini, dell'Osservatorio Balcani e Caucaso, e di Agostino Zanotti, presidente dell'associazione Ambasciata Locale a Zavidovici. L'evento è promosso dall’associazione Going to Europe in collaborazione con l’assessorato alla Cooperazione internazionale del Comune di Modena.
Le foto di Senigalliesi raccontano venti anni di conflitti, la tragedia che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia, ma anche episodi di resistenza, ricostruzione, voglia di sanare le ferite. I primi fuochi a Plitvice, il dramma di Vukovar. E poi l'assedio infinito di Sarajevo, Mostar, col crollo del ponte e l'incrinarsi dei secolari rapporti di tolleranza, il dramma della Kraijna durante l'operazione “Tempesta”. Quando il dramma si sposta in Kosovo, Senigalliesi è uno dei primi fotoreporter ad arrivare, e uno di quelli che decidono di restare più a lungo, anche quando i racconti balcanici non sono più sulle prime pagine dei giornali. La Jugoslavia ritratta da Senigalliesi non è solo guerra e divisione, dolore e perdita, ma anche piccole storie di quotidiana resistenza alla violenza, di muta e testarda voglia di non perdere la propria umanità, di difficili percorsi di dignità e voglia di futuro.
Livio Senigalliesi ha lavorato nelle principali aree di conflitto del mondo e i suoi scatti gli sono valsi premi come il “Fuji Film Euro Press Photo Award” nel 1997, il "World Health Organization Photo Award" nel 2004 per un reportage sulla lebbra in India, il premio “Eugenio Montale”, categoria fotogiornalismo, nel 2010. Nella sua lunga carriera, Senigalliesi ha raccontato i fronti caldi di mezzo pianeta, dal Medio-Oriente al Kurdistan, da Berlino a Mosca, passando per Afghanistan, Iraq, Mozambico, Sudan, Congo, Ruanda, Caucaso. La “guerra in casa” dall'altra parte dell'Adriatico, nella Jugoslavia che implode proprio mentre il Vecchio continente sogna la riunificazione politica al crollo della Cortina di ferro, è uno dei suoi lavori più importanti: un percorso non solo professionale, ma anche umano e personale, che lo porta a raccontare storie e destini oltre le categorie e i pregiudizi, i falsi miti dei “buoni e cattivi”, scavalcando i muri dell'odio e della propaganda.

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