21/12/2012

MUSEO CIVICO/3 – ROCCAPELAGO E MONSAMPOLO A CONFRONTO

Gli abiti utilizzati per vestire i defunti e i monili rinvenuti sulle mummie descrivono la vita delle comunità emiliane e marchigiane tra il Seicento e l’Ottocento

 

 

Abiti e monili rinvenuti sui corpi mummificati raccontano la vita di due piccole comunità rurali, tra il Seicento e l'Ottocento. Due frazioni di montagna, una sull'Appennino tosco-emiliano, l'altra in provincia di Ascoli Piceno, sono al centro della mostra “Le vesti di sempre: gli abiti delle mummie di Roccapelago e Monsampolo del Tronto. Archeologia e collezionismo a confronto”,  che inaugura sabato 22 dicembre al Museo civico d'arte di Modena, in largo Porta Sant'Agostino 337.

Roccapelago. La realtà di Roccapelago, frazione di Pievepelago in provincia di Modena, costituisce un caso unico in Emilia da quando, tra il 2009 e il 2011, il restauro della chiesa della Conversione di San Paolo ha riportato in luce un ambiente della rocca medievale utilizzato a partire dal Cinquecento come cripta sepolcrale, per essere abbandonato e murato intorno alla metà del Settecento. In esso erano presenti 300 corpi, una sessantina dei quali giunti a noi naturalmente mummificati a causa delle favorevoli condizioni ambientali. Tra i molti reperti rinvenuti, quelli tessili si sono rivelati fonte di vivo interesse e, nonostante molti di essi risultassero inizialmente di difficile lettura, la loro analisi ha fornito un'emblematica istantanea sulla piccola comunità appenninica quotidianamente in lotta con la durezza di una vita che imponeva pochissime concessioni al superfluo. Le limitazioni si protraevano anche oltre l'esistenza dettando a loro volta il metodo di inumazione: i cadaveri venivano infatti vestiti solamente con la camicia e le calze, quindi chiusi in un sudario in tela, spesso cucito addosso al corpo del defunto. Gli studi condotti in seguito hanno consentito di ipotizzare che l'assenza degli abiti potrebbe avere, quale vera motivazione, la necessità di conservarli per gli altri membri della famiglia del defunto. A questi rimaneva tuttavia la camicia, l'indumento più intimo, portato direttamente sulla pelle e talmente personale da non poter essere trasmesso.

Monsampolo. Nel corso dei lavori di riparazione dei danni causati dal terremoto che ha colpito l'Umbria e le Marche, nella chiesa dell'Assunta in Monsampolo (Ascoli Piceno) sono stati riportati alla luce nel 2003 oltre 20 corpi umani mummificati. L’eccezionalità del ritrovamento sta soprattutto nella rarità dei reperti, in quanto gli abiti popolari difficilmente sono giunti fino a noi, non solo per l'utilizzo protratto fino alla consunzione, ma anche perché ritenuti prodotti di scarso interesse.  L’esame delle vesti ha messo in evidenza, oltre alla varietà delle fogge riconducibili al ceto popolare del Piceno, lo straordinario stato di conservazione delle fibre tessili, canapa, lino e ginestra, solitamente sottoposte a completo disfacimento. I pezzi ritrovati (abiti femminili, gilet maschili, calze, cuffie, camicie), per quanto tutti molto rappezzati, si mostrano allo stesso tempo ricchi di particolari come bottoncini, preziosi merletti e ricami, segno che i corpi sono stati seppelliti con le vesti povere ma migliori: quelle della festa. A differenza delle vesti decisamente più umili di Roccapelago, la più ricca fattura degli abiti delle mummie di Monsampolo riflette dunque la volontà di una comunità di profondere decoro e dignità ai momenti fondamentali della vita, compresa la morte.

La mostra, promossa da Museo civico d’arte di Modena, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna e Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, in collaborazione con i Comuni di Pievepelago e di Monsampolo del Tronto, sarà aperta da martedì a venerdì dalle 9 alle 12, sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18 (25 dicembre e 1 gennaio solo al pomeriggio).

 

 

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