30/08/2012

GIORNATA DELLA CULTURA EBRAICA /3 – MOSTRA SU FORMIGGINI

Alle 10 di domenica 2 settembre in piazza Mazzini si inaugura l’esposizione dedicata al letterato ed editore modenese, suicidatosi dalla Ghirlandina dopo le leggi razziali

Era d’obbligo, nell’ambito delle celebrazioni della tredicesima Giornata europea della Cultura ebraica dedicata all’umorismo, riservare a Modena un posto d’onore ad Angelo Fortunato Formiggini, un figlio della comunità ebraica locale che dedicò già la sua tesi di laurea alla “Filosofia del ridere” e pubblicò da editore anche i “Classici del ridere”. Ricordato per la fine tragica che riservò a se stesso gettandosi dalla Ghirlandina contro le leggi razziali, a lui è dedicata una mostra che si inaugura alle 10 di domenica 2 settembre in piazza Mazzini. L’esposizione, realizzata con la collaborazione di Paolo Battaglia, è curata da Stefano Bulgarelli che ha delineato con pochi tratti il profilo biografico del letterato, intellettuale ed editore modenese che pubblichiamo di seguito.

Ultimo di cinque figli, Angelo Fortunato Formiggini nasce nella villa di famiglia a Collegara, nei pressi di Modena, il 21 giugno 1878.

Nel 1902 si iscrive alla Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Roma, dove conosce Emilia Santamaria che sposa nel 1906, laureandosi poi a Bologna l’anno successivo con una tesi dal titolo emblematico: “Filosofia del ridere”.

Dal 1908, l’editoria inizia ad invadere la sua vita, perché, scrive, “certi miei sentimenti […] ho il piacere che siano noti al pubblico”. Pubblica prima il giocoso zibaldone “La Secchia” che anticipa le Feste Mutino Bononiensi del 31 maggio di cui è tra gli animatori, poi “Miscellanea Tassoniana”, pubblicato il giorno stesso delle eroicomiche celebrazioni. Comincia così un viaggio editoriale che durerà trent’anni.

Tra le sue pubblicazioni si ricordano la “Biblioteca di Filosofia e di Pedagogia”, la “Rivista di Filosofia”, la “Collezione dei Profili”, la serie “Poeti Italiani del XX secolo”, e soprattutto quella dei “Classici del Ridere”.

Nel 1911 si trasferisce con la Casa Editrice (“baracca e burattini”, dice lui) a Genova, quindi nel 1916, per “prendere più largo volo”, a Roma sul Campidoglio. Nel 1918 nasce il periodico di informazione libraria “L’Italia che scrive”, il cui grande successo è alla base dell’Istituto per la propaganda della cultura italiana. Seguono altre serie e collezioni editoriali (“Medaglie”, “Apologie”, “Lettere d’amore”, “Polemiche”), con successi altalenanti.

Alla sua Modena, ai suoi avi e ai suoi giorni felici rende omaggio nel 1936 col volume “Modena d’una volta”: un ideale ritorno nella “piccola patria” che, letto a posteriori, sembra presagire l’imminente conclusione della sua parabola culturale e umana.

Nel 1938 scocca l’ultimo atto. Prima l’abbattimento della sua casa romana, poi gli scritti raccolti nel volume “Parole in Libertà”, uscito postumo, quindi il duro colpo infertogli dalle famigerate leggi razziali e il premeditato suicidio dalla Ghirlandina. È il 29 novembre, una mattina fredda e nebbiosa. Ad accoglierlo in un ideale abbraccio è l’amato Tassoni, la cui statua veglia per sempre su quel piccolo tovagliolo di selciato divenuto da allora solo ed esclusivamente suo. Un’iscrizione ne ricorda il gesto, a perenne memoria di un uomo che ha fatto del ridere un atto supremo di civiltà.

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