07/02/2015

USO DEL GENERE NEGLI ATTI AMMINISTRATIVI – IL DIBATTITO

Per Pd, Sel, Per me Modena e M5s specificare il femminile il linguaggio burocratico è “adeguarsi alla realtà”. Perplessità da FI e Ncd per una “decisione inutile”

L’Atto di indirizzo per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, che impegna il Comune di Modena a intraprendere un percorso di revisione dei termini utilizzati in tutta la modulistica del Comune in modo da mettere in evidenza entrambi i generi, e a realizzare un corso di formazione per i funzionari sull’uso del linguaggio di genere, è stato approvato dal Consiglio comunale nella seduta di giovedì 5 febbraio. Favorevoli Pd, Sel, Per me Modena, M5s, CambiaModena. Astenuti Ncd e FI. L’atto, ha spiegato Ingrid Caporioni, assessora comunale alle Pari opportunità, “apre un percorso culturale che punta a inserire nel linguaggio un maggiore rispetto per i due generi. Un percorso – ha sottolineato l’assessora – che è stato chiesto e voluto dalla società civile, in particolare dalle associazioni femminili ed è importante che le istituzioni sappiano accogliere queste richieste”.

In apertura di dibattito per il Pd Caterina Liotti ha ricordato che “il primo studio sulla valorizzazione del genere nel linguaggio è datato 1987, a dimostrazione che è molto difficile passare dalla teoria alla pratica, ancora oggi infatti ci sono molte resistenze alla piena accoglienza della visibilità delle donne. La delibera che votiamo oggi è importante perché determina con precisione l’obiettivo che si dà l’amministrazione, stiamo passando dalle parole ai fatti. E in questo senso penso sarebbe opportuno pensare a un monitoraggio tra un anno per verificare i risultati raggiunti”. Secondo Vincenzo Walter Stella il problema “non è di natura linguistica ma culturale: l’uso consapevole della lingua è indispensabile per dare pieno riconoscimento a ruolo pubblico della donna”. E Federica Venturelli ha osservato che “la società è profondamente cambiata ma il linguaggio, che è il mezzo più potente di creazione di ruoli, si evolve più lentamente e rivela sempre i nostri pregiudizi. L’oscuramento linguistico della figura professionale femminile ha come effetto la sua negazione. Per questo è necessaria una comunicazione pubblica e mediatica aderente ai ruoli della donna e che superi gli stereotipi”. Per Simona Arletti “cambiare il linguaggio negli atti pubblici è un input preciso che l’amministrazione dà alla propria struttura e un messaggio chiaro dal punto di vista politico. Questo non toglie che per raggiungere reali pari opportunità l’istituzione possa usare anche altri mezzi, come il bilancio di genere”. Paolo Trande ha rilevato che “naturalmente le politiche vere per la parità di genere si vedono nell’allocazione delle risorse, come ha dimostrato nella storia la nostra terra il cui sviluppo è dipeso anche dal lavoro delle donne, favorito dalle risorse destinate a servizi come gli asili nido. Cambiare il linguaggio non produce effetti immediati ma potenzia la sensibilità sul tema”.

Luigia Santoro, Ncd, ha sostenuto che “chiedere di declinare al femminile le qualifiche professionali è una specificazione demagogica che non aggiunge niente al ruolo pubblico della donna. La carriera delle donne dipende da quanto sono brave e non dal fatto che un nome sia declinato al maschile o al femminile, che è lo stesso”.

Al contrario, Mario Bussetti del M5s si è detto “completamente d’accordo con i principi espressi nell’atto di indirizzo” osservando però che “l’uso del linguaggio di genere è importante ma non particolarmente difficile, richiede l’uso del pensiero e un’abitudine al suono, ma non per forza un investimento oneroso, quindi vigileremo che per la formazione non vengano spese risorse eccessive”.

Per Marco Cugusi di Sel “la delibera recepisce una situazione di fatto, adeguando gli atti amministrativi al risultato dei grandi cambiamenti avviati dal dopoguerra. Recepire il linguaggio è qualificante: è un bene implementare la modulistica ed è necessario fare formazione”.

Per FI, Adolfo Morandi ha commentato che “pensare che cambiare il linguaggio della burocrazia possa influire sul modo di usare la lingua italiana è un compito improbabile che avrà grande successo perché la parola è quella di uso corrente e ci sono professioni normalmente maschili che si fa fatica a recepire declinate al femminile e viceversa. Non sono contrario alla delibera – ha concluso il consigliere - ma credo che stiamo perdendo tempo e forse anche denaro che andrebbe destinato ad altre priorità”.

Per il gruppo Per me Modena Domenico Savio Campana ha replicato che “è vero che la lingua è quella parlata comunemente e non possiamo contrastarla. Possiamo però incoraggiare una buona abitudine con una variazione del lessico, non facile perché la nostra lingua è molto antica e sessuata, ma possibile. Cambiando il linguaggio dell’istituzione mandiamo un segnale, soprattutto ai giovani, e un domani, quando la nostra cultura sarà più rispettosa, usare certe parole sarà più facile”. E Adriana Querzè ha affermato che “la lingua non cambia la realtà ma influenza il pensiero e lentamente ci modifica. E se un’amministrazione si preoccupa di dare visibilità linguistica ai due generi ci si può ragionevolmente attendere che dia cittadinanza reale a entrambi. Detto questo, sarebbe opportuno proseguire nel percorso con la semplificazione del linguaggio burocratico, collegato ai diritti di cittadinanza, e impegnarsi per il bilancio di genere”.

 

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