27/11/2023

GIOVANI / 4 – COINVOLGIMENTO, SPAZI PUBBLICI E INCLUSIONE

Alcune possibili soluzioni per far fronte alla criticità, a partire dalla giustizia riparativa al posto di risposte “punitive”. Percorsi anche per i minori stranieri non accompagnati

Oltre a rilevare la complessità del fenomeno, la ricerca “Bande giovanili di strada in Emilia-Romagna tra marginalità, devianza e insicurezza urbana” suggerisce anche alcune soluzioni, offrendo tre spunti.

La prima proposta scaturisce dal fatto che l’indagine restituisce la natura fluida e la diversità delle aggregazioni giovanili, la maggior parte delle quali non può essere definita come “banda giovanile”, perché mancano i tratti tipici di questi gruppi (struttura organizzata, territorialità e coinvolgimento sistematico in attività criminali). Di conseguenza “la scelta della risposta di tipo punitivo è da evitare”, secondo le relatrici. L’approccio punitivo sia con condanne pesanti sia attraverso l’uso di misure amministrative punitive, come i ‘daspo urbani’, se pur necessario nei casi più gravi, “andrebbe ridotto il più possibile per evitare che, nel lungo termine, la violenza potenziale di alcuni di questi gruppi si estenda”. Le istituzioni sono invitate, quindi, a sperimentare percorsi di mediazione penale, coinvolgendo le agenzie che si occupano di giustizia riparativa, in modo che possano approntare servizi appropriati e mirati.

La ricerca evidenzia, inoltre, il ruolo determinante della stampa “nel dare visibilità, spesso in maniera del tutto non coerente col fenomeno”. L’inquadramento mediatico del problema abuserebbe della definizione ‘baby-gang’, “contribuendo creare un clima sociale di intolleranza verso il problema, senza aiutare a comprenderlo”. La ricerca suggerisce perciò alla Regione di coinvolgere le testate giornalistiche locali un’iniziativa seminariale, per una discussione e una riflessione sul fenomeno, anche alla luce dei dati dell’indagine.

La terza proposta, la più articolata, invita le istituzioni locali a costruire percorsi complessi orientati alla prevenzione del fenomeno. In particolare, l’indagine suggerisce innanzi tutto di formare operatori specializzati a cui affidare la progettazione e la gestione di progetti rivolti ai gruppi giovanili. In parallelo, si propone di individuare luoghi dove i ragazzi possano avere visibilità e possibilità di esprimere sensazioni di non appartenenza. “Questi gruppi – si legge nel documento – cercano spazio e visibilità ma non sono ben accolti, perché sono rumorosi, disturbano, provocano. C’è tuttavia qualcosa di simbolico nel ritrovarsi in un centro commerciale o nell’‘invadere’ i centro storici: sono i luoghi del consumo per eccellenza e delle opportunità, da cui molti dei giovani di queste aggregazioni si sentono esclusi, ma di cui vogliono essere parte”.

La ricerca suggerisce poi di avviare progetti che “rispondano al bisogno di inclusione e di protagonismo di questi ragazzi – osserva il documento – e che partano dai loro interessi: in primo luogo la musica e il web. Il sostegno alla produzione di progetti musicali e culturali propri, per esempio, o il recupero di attività sportive gestite in autonomia”. Secondo le curatrici, poi, un intervento specifico va rivolto ai minori immigrati, sia quando si tratta di gruppi su base etnica sia misti, sollecitando un intervento per risolvere la situazione di “parcheggio” dei minori stranieri non accompagnati nei centri di accoglienza, perché “potenzialmente rischiosa per il coinvolgimento in attività devianti o criminali”.

Infine, si auspicano interventi a livello del sistema educativo, non solo sul fronte della formazione degli insegnanti, ma soprattutto organizzando iniziative con gli studenti, che possano “sottolineare l’importanza della socialità giovanile e la sua differenza rispetto a fenomeni criminali”, rilevano le relatrici.

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